"Ti piace?"
"Cos'è?"
Era la domanda che mi veniva posta all'inizio e spesso anche alla fine.
Una domanda che aveva perso peso e significato.
C'era stato un tempo in cui anch'io avevo cercato le risposte nelle linee, nel colore, nel materiale, nelle sfumature, nelle voci.
Cercando di affermarle, più che riceverle.
Troppe le mie domande, poche le mie risposte.
Avevo smesso di cercarle ma non di trovarle, seguendo lo stomaco e non la testa.
Distaccandomi dalla vista, per vedere oltre.
Seguendo le mani e non la realtà.
Via quello che conosci, via quello che vedi, via quello che ti aspetti di vedere.
Via quello che pensi di sapere, via il giudizio, via l'illusione, via l'incertezza.
Restando aggrappata alle sensazioni, dimenticando la materia, la coerenza, la precisione.
"Mi ricordi me."
"Quando?"
"Almeno un anno fa."
Avevo rivisto le foto in quella Galleria, immersa nel bianco di quelle sculture, con lo sguardo fisso sulle luci, tra muri di cotone, murales di fiori e indicazioni abbaglianti.
Una colazione con caffè, arte e biscotti d' arancia e cannella.
L'anno più strano della mia vita, il più vero; una lezione continua, una libertà ritrovata, una consapevolezza autentica, una sfida giornaliera, una gratitudine traboccante, una battaglia feroce.
Un salto nel vuoto, un puntare i piedi, un orgoglio puro, un'accettazione profonda.
Ascolto, riposo, velocità.
Lo sguardo rallentava, con la mente a mille miglia.
Jumping timelines, riuscivo a capirlo solo adesso.
Riuscivo a guadarmi, ad ascoltarmi
solo adesso.
Il sorriso fiero sotto lo sguardo della Luna, oltre, dall'altra parte.