Il passaggio al nuovo anno stordiva, come un bicchiere di un troppo o come un sogno intenso nella notte.

La nebbia aveva avvolto la città quella mattina, abbracciandoci con il gelo e riscaldando gli occhi delle finestre.

Periodo difficile quello natalizio, in cui tutto perdeva e assumeva significato, in cui la riflessione restava un barlume intrappolato tra le decorazioni, tra il cartone da cestinare e quel cibo di troppo diventato ormai avanzo.

La magia del Natale si consumava tra la cenere dei fuochi e le prime pagine di giornale.

Il secondo giorno del primo mese dell'anno raccontava i deliri, le contraddizioni, gli estremismi e gli ultimi numeri di un anno andato ormai a picco.

In quel brindisi mattutino e non ordinario non avevo alcun desiderio, desiderarlo avrebbe significato cedere tutto il carico nelle mani di qualcun altro e anzichè chiedere io continuavo a guardare tutta quella nebbia, a seguirla, con lo sguardo e con la testa.

Distesa lì, a poco più di un chilometro, mi raccontava di quella vecchia foto di qualche anno prima in cui l'unica fonte visibile, data da un lampione, era avvolta da così tanta foschia da somigliare quasi al sole, un sole in bianco e nero.

Nello zaino avevo tutti i campanellini raccolti nei mesi precedenti, i sorrisi della luna, i colori dei pensieri e quei frammenti come segnali luminosi sparsi in ogni centimentro di passo.

Un passo fuori dalla fila, a un chilometro dall'illusione.