Senza che proferissi parola quell'uomo aveva capito.
Nella mia biografia aveva letto tutto; il rifiuto, la semplicità, l'esitazione, l'amore in due semplici parole: mani fredde.
Mi faceva sempre un certo effetto sentire le mie parole lette ad alta voce.
Era come strapparsi il cuore dal petto e metterlo lì, sul bancone, davanti ad un microfono, con la videocamera e cento occhi scrutanti puntati addosso.
Ero un po' agitata quella mattina, ma non troppo, ero abituata al fatto che l'emozione mi colpisse qualche istante prima dell'ultimo secondo.
Stavo uscendo di corsa, con i capelli bagnati ed un sorriso tra le mani; non ricordo perchè stessi sorridendo, avevo solo voglia di un buon caffè.
Nei passi frettolosi avevo dimenticato di guardarmi intorno ed una donna di passaggio mi aveva sfiorato imprecando di prestare attenzione.
Le avevo sentite come vento tra i capelli, quelle parole, sfiorarmi e andare oltre.
Non avevo più tempo per le assenze, le imprecazioni e gli sguardi torvi.
Avevo smesso di guardare oltre il cancello, di cercare, di sentire il bip sul cellulare.
Avevo raddoppiato la mia gentilezza, triplicato il mio essere me stessa ma non avevo riempito l'assenza; l'avevo lasciata lì come una sagoma vuota a riprodurre echi lontani.
Avevo sparso il cuore in ogni frammento di tela che mi fosse capitato sottomano.
Avevo sperato con un pugno di foglie secche guardandole diventare polvere nelle mie mani.
Pensavo che coraggio significasse agire con e oltre la paura, ma coraggio derivava dal latino
«cor» e «agere», cuore e agire.
Era quello il mio credo, o quello che molti chiamano mantra.
Era quello che mi spingeva verso i dettagli, che mi avvicinava alla gente, che mi allontanava.
E come diceva Bukowski, non ho tempo per le cose che non hanno un'anima.